In Val Camonica per scoprire incisioni rupestri, un borgo d’artisti e il museo d’energia idroelettrica di Cedegolo

Si apre dopo la sponda nord del lago di Iseo, segue il corso dell’Oglio, percorre oltre 80 km e finisce al passo del Tonale. È la Valle Camonica, alias Valle dei Segni. Perché qui c’è un ricchissimo patrimonio d’arte rupestre che figura, a ragion veduta, fra i beni Unesco. A Capo di Ponte, Ceto e Darfo Boario Terme ci sono parchi e riserve che raccontano 10.000 anni di civiltà umana attraverso simboli, immagini e scene di vita quotidiana incisi nelle rocce. Tutto questo tesoro lo si deve ai camuni (da cui il nome Camonica), popolo che si stanziò qui nel Neolitico. Ma venire in Val Camonica significa anche scoprire la natura lacustre dell’alto Iseo e quella delle quote più alte dell’Adamello, dedicarsi al benessere nei centri termali di Darfo Boario e visitare un borgo d’artisti, Bienno. Strette strade acciottolate, archi, edifici in pietra e balconate di legno e mulini funzionanti mossi dalla forza del Vaso Ré, canale artificiale che da 1000 anni sottrae le acque dal torrente Grigna per incanalarle lungo le vie del borgo e convertirle in forza motrice. Bandiera arancione del Touring Club Italiano, Bienno ha dalla sua un’antica tradizione di lavorazione del ferro, che ha forgiato il paese trasformandolo in un borgo di artisti, con fucine, atelier e laboratori creativi.

 

Ma l’acqua ha fatto ben altro in Valle Camonica, trasformandola, sin dai primi del Novecento – quando la “corsa all’oro bianco” spinse grandi industriali a contendersi i diritti di derivazione, ovvero di utilizzo a fini commerciali dei molti corsi d’acqua della valle – in una delle principali aree di produzione di energia idroelettrica su scala italiana. Ed è così ancora oggi, grazie alla presenza di centrali costruite nel Dopoguerra.

Il Museo dell’energia idroelettrica di Cedegolo

Fondata nel 1905 a Brescia, la SEB, una delle principali società idroelettriche dell’epoca, ottenne l’autorizzazione a derivare le acque del fiume Oglio presso Malonno nell’ottobre del 1908, dopo non poche obiezioni da parte delle comunità interessate, che rimarcavano il forte impatto delle opere strutturali sul territorio e sull’alterazione della disponibilità delle acque per le attività artigianali e agro-pastorali. Tuttavia, risarcimenti, indennizzi, accordi per forniture gratuite di energia elettrica e le promesse, rimaste inevase, di costruzione e sviluppo di stabilimenti industriali sul territorio, portarono all’accettazione e approvazione del progetto.

Così, tra il 1909 e il 1910 fu realizzata la centrale di Cedegolo, inusualmente collocata in un contesto urbano e non, come solitamente accade, in valli laterali o in alta montagna. Tale collocazione fu determinata dal luogo della derivazione e dalla necessità di sfruttare la caduta d’acqua in un punto favorevole: le acque, convogliate nella vasca di carico mediante un canale di 8 chilometri, entravano nella sottostante centrale attraverso due condotte forzate, dopo un “salto” di quasi 100 metri.

 

L’edificio è opera di Egidio Dabbeni e si inserisce nel filone della prima architettura moderna per l’uso precocissimo del cemento armato, per la geometria rigorosa della struttura e per la chiara corrispondenza tra spazi e funzione: la trasformazione e la distribuzione nei quattro piani del volume lato strada, la produzione nel corpo lato fiume, servizi e manutenzione nella torre agganciata ortogonalmente alla sala macchine. La distribuzione degli spazi fu determinata dal luogo di ingresso delle condotte forzate, che impose di collocare sul lato fiume i quattro gruppi generatori turbina-alternatore e il canale di scarico che, raccogliendo il deflusso, lo restituiva al fiume dopo aver percorso longitudinalmente tutto il fabbricato.

Dal 1950 l’uso della centrale fu drasticamente ridotto con l’entrata in funzione della centrale Cedegolo II. Nel giugno 1962 la centrale venne messa fuori servizio e dicembre dello stesso anno, con la nazionalizzazione del settore elettrico e l’assorbimento della SEB, la proprietà passò all’ENEL. Due anni più tardi si procedette allo smantellamento dei macchinari e i locali vennero utilizzati come magazzino di deposito.

Nel 2000 il Comune di Cedegolo acquistò il fabbricato per destinarlo a sede museale. Dopo i lavori di restauro e allestimento, nel 2008 è stato inaugurato il Museo dell’energia idroelettrica di Valle Camonica, sezione del Museo dell’Industria e del Lavoro di Brescia. L’esposizione racconta il percorso dell’acqua, dal suo formarsi nell’atmosfera al suo precipitare sulla terra, dal suo condensarsi in ghiaccio al suo raccogliersi nei laghi alpini, dal suo imbrigliamento in dighe artificiali sino all’arrivo nella centrale idroelettrica, dove si trasforma in elettricità attraverso una filiera tecnico-scientifica, rappresentata da macchinari d’epoca di grande impatto.

La comunicazione dei contenuti scientifici avviene in dialogo con reperti tecnologici carichi di storia, mentre testimonianze di lavoratori, tecnici, persone comuni, fanno da controcanto a filmati che esaltano, con la maestria di Ermanno Olmi, gli anonimi protagonisti della costruzione dei grandi impianti idroelettrici alpini.

Successivi interventi, hanno dotato il museo di nuovi spazi espositivi e dell’allestimento della grande piattaforma sospesa nella ex sala macchine e al terzo piano dell’edificio. Il percorso è arricchito da numerose postazioni interattive e multimediali: dalla ricostruzione in 3D della sala macchine in funzione alla sand box, dalle bici elettriche alle proiezioni a parete, per finire con la grande parete interattiva, dove anche i più piccoli possono seguire il cammino dell’energia dagli invasi alpini fino alle nostre case.

Il museo, riconosciuto nel 2015 quale anchor point della European Route of Industrial Heritage del Consiglio d’Europa, dispone di spazi ampi e suggestivi in cui sono state ospitate numerose mostre temporanee e una serie significativa di eventi, proiezioni e spettacoli.

 

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