La città della Mole e della Sacra Sindone, del Festival del Cinema e della Fiera del Libro, del Lingotto e della Fiat. Oggi Torino è un’ambita città d’arte e di cultura, solenne e contemporanea insieme. Ormai da molto tempo, forse dalle gloriose Olimpiadi invernali del 2006, il grigio non è più il suo colore. A un passo ci sono montagne, laghi, i piaceri delle Langhe e il mare della Riviera ligure, che le conferiscono una posizione di assoluto privilegio. Le grandi piazze barocche, le residenze reali, i parchi e lo scorrere lento della Dora, la rendono un ibrido tra una metropoli con eccellenti servizi e una slow city in cui la vita è fatta di passeggiate sotto i portici e chiacchiere nei caffè storici, un tempo fucine di idee progressiste. Tuttora Torino è in continua evoluzione, ma conserva il suo spirito sabaudo e non rinnega il passato, soprattutto quello industriale, che l’ha portata a essere quello che è.

È tra il 1864 e il 1884 che Torino disegna il suo futuro di capitale industriale italiana. Nel 1865 la città si vide tolta la funzione di capitale, trasferita a Firenze: assorbire i contraccolpi economici non fu né facile, né veloce. Ci volle un ventennio per delineare il futuro di Torino come città dell’industria e fu l’energia elettrica a giocare un ruolo decisivo per lo sviluppo delle attività produttive cittadine. Nel 1881 Parigi ospita la prima Esposizione internazionale di elettricità. Due anni dopo, a Milano, la Edison mette in esercizio la prima centrale termoelettrica continua d’Europa. Su questi due avvenimenti, nel 1884 Torino sceglie di accogliere l’Esposizione internazionale di elettricità all’interno dell’Esposizione Generale Italiana, organizzata dalla Società promotrice dell’industria nazionale e presieduta da Galileo Ferraris. Un’enorme vetrina per il progresso industriale della città. Fu proprio Ferraris a rendersi conto che l’uso dell’elettricità, insieme alle grandi risorse idriche del territorio alpino piemontese, avrebbe potuto fornire una nuova e fondamentale risorsa energetica, poi nota con il nome di “carbone bianco”, aiutando così l’attività produttiva finora svantaggiata dalla carenza di giacimenti di combustibili fossili. Nel 1888 a Torino era già attiva una piccola centrale termica, ma è la costituzione della Società Elettrica Alta Italia, nel 1896, a determinare l’industrializzazione di tutta l’area nord della città. In particolare, il quartiere Barriera di Milano è tutto un germogliare di fabbriche: a dominare è il settore metallurgico-meccanico, seguito poi da quello tessile. Nel 1910 è ormai chiaro il destino di “quartiere industriale” di Barriera e delle aree limitrofe: se le fabbriche già avviate si sono ormai ingrandite, altre ne nascono.

Le industrie manifatturiere, alimentari, assicurative, petrolchimiche, che in quegli anni nacquero e crebbero, hanno contribuito alla ricchezza di Torino come città industriale. Oggi, alcune di esse, raccontano la loro storia e il loro sviluppo attraverso interessanti percorsi museali e archivi aziendali.

Museo Lavazza

Quando la crisi agraria e la depressione economica mondiale mettono in ginocchio i contadini, nel 1885, Luigi Lavazza lascia la campagna di Murisengo Monferrato alla volta di Torino. Dopo gli studi in chimica e commercio e un ruolo da direttore in uno stabilimento di fiammiferi, nel 1895 dà il suo nome a una piccola drogheria in via San Tommaso rilevata l’anno precedente. Lungimirante, Luigi punta sulla vendita di caffè, che affianca ai prodotti tradizionalmente smerciati dalle drogherie. Lo acquista crudo da uno spedizioniere genovese e inizia a sperimentare le miscele: il risultato è un prodotto di immediato successo. In un periodo in cui il consumo di caffè era limitato, la torrefazione non assicurava grandi guadagni, tuttavia era vista come un’attività esclusiva e prestigiosa. Per questo la bottega acquisì presto clienti e fama. I listini dei prezzi vengono mandati per posta, una sorta di email marketing in anticipo sui tempi. Le vendite si allargano a macchia d’olio e, nel 1910, la sede viene trasferita in locali più grandi. Nello stesso anno Luigi Lavazza, che fino ad allora aveva tostato e venduto singolarmente le qualità di caffè, inizia a sperimentare le miscele. Il primo passo verso l’innovazione del caffè. Il risultato è un prodotto più equilibrato e di immediato successo. Nel primo periodo postbellico Torino è in fermento: la FIAT comincia a produrre al Lingotto e la bottega Lavazza diventa una piccola impresa. Nel 1922 si trasferisce in corso Giulio Cesare, in un edificio più grande dotato di macchinari più avanzati. Contestualmente si dà avvio alla prima campagna pubblicitaria a carattere nazionale. Nel 1927, con la moglie e i figli, Luigi Lavazza fonda la società Luigi Lavazza e comincia a utilizzare un nuovo metodo di commercializzazione del prodotto: la tentata vendita. L’iniziativa ha un tale successo che il giro di affari cresce esponenzialmente. I Lavazza sopravvivono al blocco totale dell’importazione di caffè durante la Seconda guerra mondiale e nel Dopoguerra l’attività rinasce: il caffè è fornito ai rivenditori in confezioni sigillate con il nome e il logo dell’azienda, progettato dall’Aerostudio Borghi, che compare anche sui furgoni per le consegne, e viene aperta la prima filiale milanese. Erano i primi passi di una politica di marketing decisiva che puntava all’espansione su tutto il mercato nazionale. Luigi Lavazza muore nel ‘49, i figli raddoppiano il capitale sociale e l’azienda cresce velocemente, aprendo la prima filiale milanese e dirigendosi alla conquista del mercato nazionale. Nel 1955 Emilio Lavazza, nipote di Luigi, arriva in azienda con idee innovative: è grazie a lui che nasce la storica “Miscela Lavazza”. Nel 1957 entra in funzione il grandioso stabilimento di corso Novara, dove il processo di lavorazione veniva realizzato, per la prima volta in Italia, in senso verticale, a caduta. Nel nuovo impianto si lavorano giornalmente oltre 40.000 kg di caffè, confezionato in lattine sotto vuoto spinto, un procedimento che consente una lunga conservazione del caffè e quindi l’espansione dei confini della distribuzione. Ma oltre al livello altissimo della qualità del prodotto, è anche il marketing a fare la fortuna di Lavazza. La collaborazione con Armando Testa, che perdura tuttora, porta campagne pubblicitarie di grande eco, su stampa e tv: sono gli anni di Paulista, Caballero e Carmencita. Negli anni ’70 il testimonial in tv è Nino Manfredi, con gli indimenticabili slogan “Caffè Lavazza, più lo mandi giù, più ti tira su” e “Il caffè è un piacere, se non è buono che piacere è?”. Da quel momento Lavazza non può che guardare oltre i confini italiani, e nel 1982 apre la prima consociata estera a Parigi, che sarà anche la location del primo Calendario Lavazza, firmato nel 1993 da Helmut Newton. Forte della sua inarrestabile diffusione in Europa e oltreoceano, e di una nuova campagna pubblicitaria che porta il caffè in Paradiso, iniziano gli anni delle sperimentazioni, che portano l’azienda a esplorare le diverse forme del caffè: nasce il Coffee Design, portato ai massimi livelli grazie alle collaborazioni con i più grandi chef italiani e internazionali, primo tra tutti Ferran Adrià.

La costante ricerca sul prodotto, il continuo rinnovamento dell’offerta e le efficaci operazioni di marketing hanno fatto di Lavazza un gruppo dai grandi numeri con sedi in tutto il mondo. Oggi il quartier generale dell’azienda si chiama Nuvola, nome evocativo dell’aroma che proviene dalle tazzine fin da primo marchio. All’interno, il museo Lavazza, attraverso percorsi sensoriali ed emotivi di grande suggestione, intreccia la storia e la cultura del caffè, con quelle della famiglia Lavazza e dell’industria italiana del Novecento.

Museo Storico Reale Mutua

Nel XIX secolo gli incendi erano frequenti e dalle conseguenze spesso tragiche. Una sola scintilla poteva devastare case, botteghe, fattorie e spezzare vite umane. Per dare sollievo economico ai malcapitati, frenare i tentativi di sviluppo delle imprese assicuratrici straniere nei domini sabaudi ed evitare un flusso di capitali all’estero, il Regno di Sardegna necessitava di un’assicurazione propria interna. Nel 1828, ben prima dello sviluppo industriale di Torino, fu Re Carlo Felice a farsi promotore e Socio della prima compagnia assicurativa in forma di mutua contro i danni causati dagli incendi. E Palazzo Chiablese, sua dimora, fu il primo edificio assicurato dalla neonata Società Reale d’Assicurazione Generale e Mutua contro gl’Incendi. Con un capitale iniziale di beni assicurati di oltre 25 milioni di lire e un portafoglio di 1483 Soci, fin dai suoi primi anni di vita, Reale Mutua vantava tra i suoi Soci assicurati le più illustri personalità dell’epoca.

L’attività assuntiva di Reale Mutua fu sempre costante e in forte crescita e, oltre a Palazzo Chiablese, altri prestigiosi edifici furono assicurati contro danni da incendio. I registri dell’Archivio Storico raccontano dei fabbricati della Corona nella provincia di Modena e delle numerose tenute reali, a San Rossore, Pollenzo, Castel Porziano e Parma. Nel giro di pochi anni si aggiunsero tutti i principali teatri dei territori acquisiti nella corsa dei Savoia verso l’unificazione d’Italia, tra cui il Teatro La Pergola di Firenze. Tra gli assicurati più illustri del passato figurano Giovanni Giolitti, Gabriele D’Annunzio (che assicurò contro l’incendio il Vittoriale), Arturo Toscanini, Guglielmo Marconi, Luigi Pirandello e i cardinali Giovacchino Pecci e Giuseppe Sarto (poi rispettivamente Papa Leone XIII e Papa Pio X).

La prosperità della Compagnia si manifestò presto all’Esposizione Generale Italiana del 1884, dove ricevette la medaglia d’oro di prima classe. Il primo di una lunga serie di riconoscimenti che testimoniano la partecipazione attiva di Reale Mutua alla vita economica del Paese e il suo impegno verso lo sviluppo e la modernizzazione. Nei decenni seguenti la società si espanse ancora, riuscendo ad acquisire una forte solidità economica che le permise di fare fronte alle difficoltà dei conflitti mondiali, durante i quali si distinse attraverso le iniziative di solidarietà nei confronti dei suoi dipendenti e in generale della popolazione, destinando ingenti somme a opere di assistenza e di aiuto ai combattenti, agli invalidi a alle loro famiglie. Un’attenta politica permise a Reale Mutua di assumere sin dai primi anni ’60 i caratteri della grande impresa assicuratrice con società collegate e controllate. Sono gli inizi della creazione di Reale Group, oggi presente anche in Spagna e in Cile.

Da una storia così lunga nasce nel 2007, nel cuore di Torino, il Museo Storico Reale Mutua, dove una selezione di documenti dell’Archivio Storico aziendale e il moderno allestimento multimediale si alternano in un continuo dialogo tra passato, presente e futuro.

 

Archivio Storico e Heritage Lab Italgas

La Torino del 1600 non conosceva l’illuminazione pubblica, il buio era pesto e le strade pericolose. Solo nel 1782 arriva il primo sistema di illuminazione pubblica: fatto progettare da Vittorio Amedeo III, contava quasi 700 lanternoni a olio e sego. Pochi anni dopo, nel funesto 1789, la Reale Accademia delle Scienze di Torino bandisce un concorso per trovare nuovi sistemi di illuminazione per la città. La risposta arriva oltre 30 anni dopo, nel 1823, al Caffè Gianotti in piazza San Carlo, dove viene acceso un “lustro a cinque fiamme” alimentato da un piccolo gasometro. Inizia così, in un’Italia non ancora unita, la corsa di imprenditori, finanziatori, tecnici e ingegneri alla progettazione delle prime officine e agli accordi con le autorità locali per ottenere i permessi per l’edificazione degli impianti e delle reti di distribuzione. Il 12 settembre del 1837, l’architetto François Reymondon, l’ingegnere Hippolyte Gautier e un buon numero di imprenditori, banchieri, nobili e militari torinesi danno vita alla prima società di produzione del gas italiana, la Compagnia per l’Illuminazione a gaz della città di Torino.

Il suo monopolio, però, dura poco: nel 1851 nasce la sua diretta concorrente, la Società Anonima Piemontese per l’Illuminazione a gaz della città di Torino, detta di Borgo Dora. Intuendo i vantaggi di una fusione, cinque anni dopo le due società si uniscono nella Società Gaz Luce di Torino, che nel 1862 cambia nome in Società Italiana per il Gas (Italgas). Da quel momento, il gas entra pian piano nelle case dei cittadini: fornelli, scaldabagno, caloriferi, ferri da stiro. Quando tutto sembrava andare per il verso giusto, ecco sbucare Thomas Alva Edison con la più grande invenzione del secolo: la luce elettrica. Nel 1885 nasce la Società Italiana per l’illuminazione elettrica, con Italgas accomandante e la ditta Giovanni Enrico accomandataria. Gli impianti elettrici entrano in funzione due anni dopo, ma nel 1888 Italgas cede l’attività alla ditta Bellani, che diventa unica concessionaria del Comune di Torino per l’illuminazione pubblica elettrica.

Nel 1917 entra in Italgas l’avvocato Rinaldo Panzarasa che, agevolato dal Credito Italiano, trasforma la società in una holding. Il colosso non regge però agli attacchi della politica economica fascista, né alla crisi del 1929. Nel 1930 la presidenza viene affidata ad Alfredo Frassati, che rimarrà in carica per 30 anni. Agli albori della seconda guerra mondiale Italgas è di nuovo solida e sopravvive egregiamente al conflitto. Nel Dopoguerra si affaccia in Italia il metano, una rivoluzione che porta Italgas, dopo l’ingresso in ENI, a diventare una delle grandi protagoniste della metanizzazione in Italia. L’impresa si espande rapidamente negli anni Ottanta, e nel decennio successivo conta oltre 1400 comuni in concessione e una rete di distribuzione di 45.000 km. Nel nuovo secolo Italgas concentra la propria azione nella sola attività di distribuzione del gas, lasciando la commercializzazione interamente a ENI Gas and Power. Fra cambi di sede, cessioni e acquisizioni varie, nel 2017 Italgas compie 180 anni. Oggi il Gruppo guarda al futuro e all’innovazione, con obiettivi di crescita e di sviluppo e un piano di investimenti volto alla progressiva estensione del servizio e all’adozione di tecnologie digitali che rendano la gestione delle reti sempre più efficiente e coerente con i principi di sostenibilità.

Tutto il patrimonio aziendale è conservato presso l’Archivio Storico della Società, che nel 2021 diventerà «Heritage Lab Italgas»: uno spazio innovativo progettato in collaborazione con la Fondazione Giorgio Cini che ricostruirà la storia dell’azienda, di chi ci ha lavorato, e soprattutto la storia e lo sviluppo industriale e urbano di Torino e del nostro Paese.

Casa Martini

Il Martini. Un’icona italiana nota nel mondo intero. Il risultato di un saper fare unico, che tanti hanno cercato e cercano tuttora di imitare. La ricetta però è segretissima e custodita gelosamente. L’unica cosa che ci è dato di sapere è che è un aperitivo a base di vino ed essenze botaniche provenienti da ogni angolo della Terra. E che ha origini antiche.

Affonda le sue radici nel luglio del 1847, quando a Torino Clemente Michel, Carlo Re, Carlo Agnelli ed Eligio Baudino fondano una “Distilleria nazionale di spirito di vino all’uso di Francia”. Nel 1850 entrano nell’organico due personalità che cambieranno profondamente le sorti dell’impresa: Alessandro Martini, commerciante e Teofilo Sola, contabile. È il 1863 quando i due rilevano l’attività e, affiancati da un terzo socio, il liquorista Luigi Rossi, costituiscono la Martini, Sola e Compagnia. Dall’anno successivo, la produzione viene spostata a Pessione di Chieri, un borgo piccolo ma strategico: è sulla linea ferroviaria che raggiunge il porto di Genova, snodo cruciale per le spedizioni di merci destinate a ogni continente. Le Esposizioni Internazionali di Dublino (1865) e Parigi (1867) sono occasioni d’oro, l’azienda riceve numerosi riconoscimenti e diventa fornitore ufficiale della Real Casa Savoia (da cui riceve nel 1868 la Concessione dello Stemma Reale Sabaudo) e di altre numerose case reali. Con l’avvento del nuovo secolo le redini della società passano nelle mani dei figli di Luigi Rossi. L’azienda si espande rapidamente, apre depositi e succursali in tutto il mondo (Buenos Aires, Ginevra, Barcellona, Parigi, Bruxelles, Londra, New York, Hong Kong, Costantinopoli, Bucarest, Yokohama). Nel 1925 si trasforma in società anonima “Martini & Rossi”, imponendosi sulla concorrenza. Quando esplode la seconda guerra mondiale, la scelta di mantenere la piena attività a tutela dei lavoratori porta con sé un’inevitabile criticità economica, da cui l’azienda si riprende solo a fine conflitto, come testimonia la ripartenza a dicembre del 1945 dei “Grandi Concerti Radiofonici Martini & Rossi” (trasmissioni radiofoniche dal vivo che andarono in onda il lunedì dal 1936 al 1964, interrotte solo negli anni della guerra: un’iniziativa divenuta molto popolare e che ha contribuito a divulgare in Italia la grande musica classica e i suoi interpreti più prestigiosi).
Da sempre attenta all’immagine e alla comunicazione – a partire dal manifesto come principale veicolo pubblicitario – al nome dell’azienda si affiancano già negli anni Venti nomi importanti come quello di Marcello Dudovich, creatore della Dama Bianca. Ed è del 1925 il marchio famosissimo, definito “ball and bar”, formato da un cerchio rosso sormontato da un rettangolo nero con la scritta Martini in maiuscolo. Negli anni ‘50 si apre un’epoca densa di progetti e iniziative di comunicazione e marketing del brand. Si comincia con la realizzazione delle Terrazze Martini, aperte tra il 1948 e il 1965 a Parigi, Milano, Londra, Bruxelles, Barcellona, San Paolo del Brasile e Genova, e si continua con il Museo Martini di Storia dell’Enologia, inaugurato nel ’61 a Pessione, e con il Martini Racing Team nel ‘68, con cui Martini & Rossi sponsorizza diverse vetture nelle competizioni motoristiche (tra cui la leggendaria Lancia Delta Martini Racing). Arrivano sui manifesti le firme di Armando Testa, Mario Rossi, Attanasio Soldati, Andy Warhol. E poi c’è la tivù: nei primi tre filmati di Carosello appare anche quello della China Martini, interpretato da Ernesto Calindri e Franco Volpi. Degli ‘80 è l’indimenticabile spot con la pattinatrice che percorre le vie di Beverly Hills con un Martini sul vassoio. Un decennio più tardi, sulla terrazza di un caffè a Portofino c’è una giovanissima Charlize Theron che si lascia sedurre da un giovane tenebroso e decide di seguirlo, Martini Bianco alla mano, noncurante del filo del vestito impigliato nella sedia. Sono tutti chiarissimi esempi di come Martini abbia fatto la storia non solo degli spirits, ma anche della pubblicità e del costume sociale.

Nel 1993, Martini & Rossi si fonde con Bacardi, dando vita a un’unica grande realtà produttiva, commerciale e distributiva. Nello stesso periodo lo stabilimento di Pessione si innova, diventando un centro produttivo d’avanguardia e punto di riferimento per tutto il gruppo. Oggi, oltre a essere stabilimento produttivo, è uno spazio accogliente che attraverso gli ambienti di Casa Martini racconta al pubblico la storia dell’enologia, la storia del brand e il processo di lavorazione di un prodotto espressione della cultura imprenditoriale e fiore all’occhiello del made in Italy. Affiancando la visita ai musei con esperienze sensoriali di degustazione e miscelazione, Casa Martini onora Torino, città capitale dell’aperitivo.

Articolo redatto in collaborazione con 

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