Nella prima cintura torinese, due siti Unesco, il primo museo del “segno”, e Aurora, il brand di penne iconiche

 

Messo da parte il centro storico sabaudo, con i caffè storici, la Mole, i palazzi reali, i giardini, il Museo Egizio e la Sacra Sindone, bisogna sapere che la prima cintura periferica torinese offre spunti di visita incredibili.

 

A est del capoluogo piemontese c’è la Basilica di Superga, il secondo simbolo di Torino dopo la Mole. Domina il panorama dai 700 metri della collina a fianco del Po, a circa 10 km dal centro, e fu progettata da Filippo Juvarra. Per completare l’opera ci vollero quindici anni e la chiesa fu consacrata nel 1731 con solenne rito religioso. Ma l’idea della sua costruzione è stata partorita molti anni prima del Duca Vittorio Amedeo II, che nel 1706, mentre scrutava dal colle i movimenti delle truppe francesi che assediavano Torino, si fece una promessa: in caso di vittoria avrebbe fatto erigere proprio su questo colle una chiesa dedicata alla Madonna. Vittoria fu fatta e, 11 anni dopo, Juvarra si vide commissionato i lavori. Alta 75 metri, ha una cupola ispirata alle opere romane del Borromini, e un ricco interno che conta sei cappelle e quattro altari con statue e monumenti in marmo di Carrara. La Cappella del Voto custodisce la seicentesca statua lignea della Madonna.

 

A nord della capitale sabauda invece c’è la Reggia di Venaria, una sorta di Versailles nostrana, un capolavoro dell’architettura barocca. Concepita come fastosa ribalta di battute di caccia, balli e ricevimenti, è il frutto di diversi interventi architettonici che fecero seguito al primo progetto del 1659 di Amedeo di Castellamonte, con contributi di Filippo Juvarra agli inizi del Settecento fino ai ritocchi di Benedetto Alfieri, un secolo dopo. Parallelamente fu progettata la realizzazione di un borgo, dei giar­dini e dell’attuale parco La Mandria, adibito a riserva di caccia dei Savoia.

Dopo due secoli di degrado dovuto prima alle razzie napoleoniche poi alla trasformazione in caserma nell’Ottocento (tale rimase fino seconda guerra mondiale) e infine al progressivo abbandono e ai saccheggi dopo l’armistizio dell’8 set­tembre 1943, nel 1996 ebbe inizio il più grande cantiere cul­turale mai realizzato in Europa e la Reggia divenne un luogo meraviglioso e unico. Dal 2007, anno della riapertura al pubblico, ogni sala si ammira con grande stupore, ma è la Galleria Grande a lasciare davvero senza fiato. La luce che si irradia da ogni angolo, con quelle 44 grandi finestre laterali e quelle più piccole sulla volta, esalta ottanta metri di stucchi, cornici e lesene. E poi il pavimento, una scacchiera marmorea che sembra non finire mai. Se tutto questo non basta colmare la soddisfazione, basta fare una passeggiata negli 80 ettari di giardini all’italiana per sentirsi un po’ re, regine o cortigiani.

 

Tra queste due grandiose architetture, entrambe inserite nella lista dei patrimoni Unesco, a una quindicina di minuti d’auto da una e dall’altra, c’è l’Officina della scrittura. Un luogo di grande fascino in cui le parole, rigorosamente scritte, hanno un ruolo di primaria importanza.

L’Officina della Scrittura

Scrivere è comunicare, sviluppare la memoria, sviscerare emozioni, condividere esperienze, custodire testimonianze e mettere da parte ricordi. Per qualcuno può anche essere anche solo un esercizio di rilassamento.

Ma insomma, verba volant, scripta manent. E così, alle porte di Torino, all’ombra dell’Abbazia di San Giacomo di Stura, complesso benedettino fondato nel 1146 in fase di recupero, l’Officina della Scrittura promuove e valorizza la cultura del segno, divulgando la memoria storica di un’azienda, di un territorio e di un Paese. Gli spazi sono quelli di un’ex filanda in cui si colloca anche la Manifattura Aurora Penne, il brand delle iconiche stilografiche.

Una vera e propria “città della conoscenza”: in un percorso di oltre 2.500 metri quadrati racconta la nascita e l’evoluzione di una scoperta straordinaria, quella della comunicazione scritta: dalle prime pitture e incisioni rupestri, alle macchine da scrivere, dalle 13 stilografiche del XX secolo – tra cui la Hastil e la Thesi Aurora disegnate da Marco Zanuso negli anni Settanta ed esposte al MoMA di New York – alle ultimissime forme di comunicazione digitale.

La visita continua poi all’interno dello stabilimento produttivo delle penne Aurora, in cui è possibile assistere alle diverse fasi di realizzazione delle mitiche stilografiche ma non solo: penne a sfera, roller, pennini per mancini o per speciali esigenze calligrafiche e molti altri strumenti.

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