La pasta di Gragnano IGP: dall’artigianalità al modello 4.0

Distese gialle di spighe, oblique e fruscianti, colorano tratti di pianure, colline e altipiani in quasi tutta la Penisola. È il grano a esprimere uno dei paesaggi più dolci che l’Italia offre, insieme a una delle tradizioni gastronomiche più radicate: la pasta. Le imprese cerealicole in Italia sono oltre 320.000, 370 i mulini, 140 i pastifici. Ma la geografia del nostro territorio ha eletto alcune zone ideali per la produzione di questo cibo così fortemente identitario del nostro Paese, parte integrante del nostro Dna. E, complici strategie commerciali, microclimi e fattori culturali, sembra esserci un confine netto che vede la principale produzione di grano tenero al nord e quella di grano duro al Sud. In Campania c’è una fascia di terra lambita dalle coste del Golfo di Napoli e da quelle della Costiera amalfitana in cui acqua e ventilazione hanno giocato un ruolo fondamentale per lo sviluppo di uno dei più riconosciuti distretti artigianali e industriali vocati alla produzione di pasta di alta qualità. Si tratta del territorio di Gragnano, luogo in cui la produzione di pasta divenne industria già nell’800.

La pasta

Il giallo paglierino, il profumo di grano maturo, la sapidità e il gusto deciso, la superficie rugosa sono i segni distintivi della pasta di Gragnano, che nel 2013 ha ottenuto il marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta). Ma la sua storia comincia in un lontano passato, nel XIX secolo, quando ancora non esisteva automazione e a Gragnano la pasta veniva fatta essiccare all’aria aperta, stesa su canne di bambù a via Roma, la ramp d’o vient (la strada del vento), una strada costruita volutamente per sfruttare le brezze che salgono dalle coste e dalle alture dei monti Lattari e che divenne sede di soli pastifici artigianali. Oggi, per ovvi motivi, la produzione si è spostata dalla città a stabilimenti decentrati, ma senza sconfinare dal comune di Gragnano, perché questa è una delle caratteristiche che deve avere la pasta per essere certificata IGP: si può produrre soltanto nell’area del comune di Gragnano, un territorio di soli 15 km². Il procedimento richiede che la semola di grano duro venga impastata con l’acqua sorgiva dei vicini monti Lattari, trafilata in stampi di bronzo ed essiccata a bassa temperatura e in tempi lunghi. Una pasta che vanta una lavorazione artigianale tramandata negli anni di padre in figlio e che è possibile scoprire al Museo privato de La Fabbrica della Pasta di Gragnano.

La Fabbrica (4.0) della pasta di Gragnano

Un pastificio in continua evoluzione, con una bella storia da raccontare. Mario Moccia, importante stagionatore di formaggi, nel 1976 acquista un pastificio in crisi, ne restaura lo stabilimento e ne rilancia il marchio. La fabbrica viene ceduta agli inizi degli anni ’90, ma nel 2006 il grande senso di appartenenza alla famiglia, al territorio e alla tradizione dei fratelli Moccia li porta a riscattare il pastificio, per dedicarsi alla produzione artigianale di una pasta dalle qualità eccellenti. Oggi l’azienda conta 70 dipendenti diretti e altrettanti stagionali, vende per il 70% all’estero e distribuisce soprattutto in ristoranti di alto livello, negozi specializzati, aree di servizio e aeroporti.

Si è evoluta, sia nel contenuto (oggi produce pasta aromatizzata al limone di Sorrento, al peperoncino, al nero di seppia, al caffè) sia nella forma: la lavorazione all’interno dello stabilimento rimane artigianale, una filosofia seguita con rigore dall’impresa, ma è supportata da moderne tecnologie che consentono elevati standard di gestione, tracciabilità, logistica. Si avvale di robot antropomorfi per il confezionamento, di sensori per il monitoraggio di temperatura e umidità, qualità degli ingredienti, condizioni dell’impasto. Tutto questo ha richiesto sì ingenti investimenti, ma i risultati ottenuti hanno raggiunto i massimi punteggi, riducendo i costi di produzione, gli scarti e l’impatto ambientale.

Museo della Pasta Cuomo

Come si raccontano oltre duecento anni di storia? Amelia e Alfonso Cuomo, fratelli eredi di uno dei pastifici storici di Gragnano, hanno avuto l’intuizione giusta per farlo. La narrazione della storia dell’azienda di famiglia avviene attraverso l’esperienza immersiva offerta nelle sale del museo della Pasta Cuomo, tra trafile al bronzo originali, un antichissimo molino a cilindri e con la complicità della tecnologia: quindi sì a documenti e reperti archeologici, ma con il plus di una sezione dedicata alle ricette made in Italy – con una galleria sensoriale in cui l’olfatto percepisce bene i profumi dei piatti descritti – e di una la sala con visori VR in cui la voce narrante di Nicolino Cuomo, fondatore del pastificio, che racconta come si faceva la pasta nell’Ottocento. Ci si emoziona. Anche perché lo spazio espositivo è stato ricavato nello storico stabilimento produttivo di via Roma, tuttora in attività. Un luogo valorizzato con il sapiente restauro e lo sviluppo di attività parallele. Oltre al museo infatti la struttura ospita un ristorante, un orto, un bed &breakfast e una sala didattica in cui si insegna, per esempio, a fare i fusilli a mano.

Ambiente e industria

Industria alimentare e territorio sono stretti in un legame indissolubile. Nel caso della pasta di Gragnano è stato l’ambiente a fare il successo del prodotto. Allora vale la pena vederlo con i propri occhi questo contesto naturale fatto di aria salubre e acque limpide, quelle del mare e quelle sorgive dei monti.

L’aveva detto Paul Klee, impossibile andarsene. E l’Unesco l’ha dichiarata Patrimonio mondiale dell’umanità. E se fossero stati gli Dei a volere dei paradisi in terra, allora bisognerà ringraziarli di averci dato la Costiera amalfitana. È tutta una sfilata di scogliere, insenature e borghi marinari pittoreschi, aggrappati con tutte le forze a rocce a picco su un mare blu cobalto, di profumi di verde e di agrumi. E poi c’è la gastronomia, di una bontà direttamente proporzionale alla bellezza dei luoghi. Si parte da Sorrento, la raffinata e romantica città ad alto contenuto di limoni. Tappa obbligatoria del Grand Tour del XIX secolo, ispirò diversi geni letterari in vacanza (Goethe, Dickens e Tolstoj, per dire). Poi c’è Positano, la wedding cake, per le sue case arroccate color pastello e le boutique lussuose. Qui nascono negli anni ’50 i tessuti policromi della moda mare Positano. Si continua verso Amalfi, con il suo grandioso passato da repubblica marinara, è orlata di terrazze, scalinate, portici ed edicole votive. Infine Ravello, più in alto. Aristocratica, custodisce con pacata gelosia giardini ombrosi, vicoli tranquilli e un’atmosfera rarefatta che fece capitolare anche Gore Vidal, Wagner e Virginia Woolf. Risalendo verso l’entroterra si giunge a Gragnano. Dal centro città, un po’ caotico a dire il vero, si accede alla Valle dei Mulini, un vero e proprio parco naturalistico che conserva testimonianze dell’archeologia industriale di questa zona. Sono poco più di 2 km di verde, pareti in tufo e acqua cristallina: un paesaggio unico, in passato punteggiato da quasi 40 mulini che nel periodo di massimo splendore fornivano la macinatura di oltre 1 milione di quintali di grano l’anno. Ne sono sopravvissuti 18, ma la valle conserva lo stesso un’atmosfera incantata. Oggi è sotto la salvaguardia del Consorzio di Tutela della Pasta di Gragnano IGP, impegnato per il recupero dell’area attraverso un progetto di restauro che integra gli interventi tecnici sulle strutture architettoniche alla diffusione della storia e del patrimonio di questo territorio.

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