Galleria Campari e il rilancio post-industriale di Sesto San Giovanni, alle porte di Milano

Possono arte e industria convivere e persino dialogare? In una società che produce (e consuma) oggetti replicabili all’infinito, che ruolo assume la creatività?

Spesso si pensa all’artista secondo un’accezione rinascimentale, forse un po’ datata: un genio isolato, capace di tradurre modelli estetici in pezzi unici e rari.

Sapere ispirare forme e colori di un oggetto fabbricato, ponendosi al servizio dell’industria e unire il bello all’utile. Questa era la funzione dell’arte secondo il movimento Arts and Crafts.

In questo senso, provando ad andare oltre la consueta distinzione tra l’unicum di un’opera e la replicabilità di un prodotto commerciale, si sono fatti strada durante il secolo scorso i princìpi di una nuova disciplina: il design, che vede grafici e modellisti collaborare alla creazione di oggetti armoniosi e funzionali.  È nel 1919 che nasce, in Germania, la Bauhaus, prima scuola d’arte e mestieri.

Tra i primi sostenitori dell’integrazione tra arte e imprenditoria in Italia, Davide Campari. Figlio del fondatore Gaspare Campari, che nel 1860 aveva iniziato la sua attività di liquorista nel centro di Milano nella piazza del Duomo, Davide realizza nel 1904 a Sesto San Giovanni la prima fabbrica per la produzione industriale del Campari. Grande imprenditore, Davide Campari fu anche un uomo di marketing e pensò subito a una strategia comunicativa all’avanguardia, affidando ad artisti della Belle Époque prima e del Futurismo poi la definizione di alcune grandi campagne promozionali per le sue bevande. Decenni di collaborazione con l’élite della creatività italiana hanno aiutato questa realtà milanese ad affermarsi nell’immaginario collettivo dell’aperitivo italiano.

Oggi conservati ed esposti alla Galleria Campari, affiche, manifesti, calendari e grafiche pubblicitarie dagli anni Trenta agli anni Novanta non solo raccontano un secolo di storia aziendale, ma sono testimoni del felice connubio tra arte e impresa.

Galleria Campari

Aperta dal 2010, quella di Galleria Campari è un’esposizione non convenzionale. Ricavati all’interno dell’antica fabbrica, attiva fino al 2005, gli spazi della Galleria alternano installazioni e video interattivi, creazioni grafiche e oggetti di culto (bottiglie, bicchieri e merchandising di ogni genere). Le tecniche produttive e la composizione chimica delle bevande lasciano la scena alla comunicazione, alla cultura moderna e al design che hanno accompagnato il lancio del brand verso un successo planetario.

Le sue sale si colorano di opere che importanti artisti della nostra storia recente hanno dedicato al marchio. Le firme sono quelle di Marcello Dudovich, Leonetto Cappiello, Fortunato Depero, Guido Crepax, Bruno Munari, Ugo Nespolo, personalità di rilievo ingaggiati da Davide Campari per lo sviluppo dell’advertising aziendale. Il risultato: locandine e manifesti che, a cavallo del secolo, sono entrati di diritto nei libri di storia decretando un successo di immagine che non si è mai veramente interrotto. Negli anni ’30, Fortunato Depero proietta forme futuristiche nei bar di tutta Italia, disegnando manifesti e ideando l’iconica bottiglietta del Campari Soda (il primo aperitivo monodose) che ricorda nella forma un  calice rovesciato. Bruno Munari firma “Declinazione grafica del nome Campari” nel 1964: il primo cartellone appeso sulle pareti della metropolitana milanese appena inaugurata.

Altrettanto fortunato il sodalizio con il piccolo schermo e con il cinema. Dai caroselli andati in onda tra il 1957 e il 1977 con protagonisti i beniamini del pubblico, agli spot televisivi, tra cui quello girato dall’inizialmente scettico Federico Fellini. Più recentemente, registi come Sorrentino, Sollima e Garrone, hanno diretto i tre capitoli del format narrativo “Campari Red Diaries”, short movie di grande valore autoriale.

Infine, l’architettura industriale. Davide Campari voleva che anche i luoghi di produzione fossero investiti da un sapiente mix di bellezza e funzionalità. La facciata del primo stabilimento del 1904 in stile Liberty con piastrelle di ceramica a motivi floreali, è oggi inglobata armoniosamente all’interno del nuovo complesso del quartier generale Campari, inaugurato nel 2009 su progetto di Mario Botta e Giancarlo Marzorati. Il principio seguito è quello del recupero di spazi industriali che, oggi, assumono nuove funzioni. E certamente non si tratta di un caso isolato nel contesto di Sesto San Giovanni, dove da anni si investe nella rivalorizzazione di manifatture e fabbriche in disuso.

 

Parco Archeologico Industriale Ex Breda e Archivio Sacchi

Città simbolo dei movimenti proletari prima, vittima della crisi dell’industria pesante poi, Sesto San Giovanni ospitava anche gli stabilimenti della Breda, impresa che operava nei settori metalmeccanico e siderurgico. Questi immensi spazi hanno trovato un nuovo ruolo grazie a un progetto di profonda riqualificazione. Tra alberi e prati si trovano residenze operaie, magazzini riconvertiti, torri e persino un’antica locomotiva: testimonianze storiche di archeologia industriale. L’imponente volta d’acciaio del Carroponte domina il complesso: qui esposizioni e grandi concerti richiamano i milanesi verso nuovi luoghi di socialità.

Poco oltre, ai confini del Parco Ex Breda, lo Spazio MIL – Museo dell’Industria e del Lavoro ospita l’Archivio di Giovanni Sacchi, un altro sostenitore della bellezza applicata alla produzione di massa. Sacchi fu modellista riferimento per intere generazioni di creativi: gran parte delle idee su carta dei designer italiani hanno preso forma grazie ai suoi modelli tridimensionali, che traducevano materialmente i bozzetti progettuali. Tra il dire e il fare, (molto spesso) c’era di mezzo Sacchi.

Pirelli Hangar Bicocca

Il primo impatto con l’HangarBicocca è inaspettato e coinvolgente: sette pilastri di piombo e cemento armato, ideati da Anselm Kiefer, giacciono immobili al centro di un gigantesco spazio chiuso – e vuoto.

Qui le installazioni, permanenti o temporanee, dialogano profondamente con gli spazi rivalorizzati (ancora una volta, ex Breda) che le ospitano. A pochi passi dal suo quartier generale, Pirelli si rivolge dal 2004 a grandi nomi della cultura contemporanea che hanno messo stabilmente l’Hangar Bicocca sulla mappa della città.

Il contenuto non può fare a meno del suo contenitore. Dove un tempo si producevano macchine agricole, aerei e carrozze ferroviarie, si creano oggi esperienze di grande suggestione, in cui progetti innovativi entrano in relazione con l’archeologia industriale. A ulteriore conferma che sì, arte e industria possono convivere, eccome.

 

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