In un passato non troppo lontano la percezione che si aveva parlando di archivi era quella di depositi straripanti di documenti inutili che per molti sarebbero potuti finire al macero. Di faldoni, carte e rotoli ricoperti di polvere.
Parlando poi di archivi bancari, a cosa sarebbe servita la conservazione di libri contabili, dei documenti dello stato di avanzamento di un mutuo o di un fallimento societario, della confisca di beni o del pagamento di un pegno, e ancora delle lettere di assunzioni o licenziamenti?
Messi sotto tutela e valorizzati, i patrimoni documentari hanno scavalcato la sola funzione di ricerca scientifica e si sono resi accessibili a un pubblico più ampio, affiancando al patrimonio archivistico l’istituzione di musei e l’organizzazione di mostre documentarie, laboratori didattici e incontri, ponendo sotto nuova luce gli archivi. In Italia, ci sono tre imprese che hanno lavorato in questo senso rendendo i propri archivi depositi di memorie attivi, partecipanti e partecipati: a Milano l’Archivio storico Intesa Sanpaolo, a Modena la Galleria e Archivio BPER Banca e a Napoli l’archivio storico del Banco di Napoli. Da questi archivi affiorano tante vicende legate alla storia e al costume del nostro Paese. Oggi più che mai, è tempo di fare emergere storie di donne virtuose e appassionate.
Archivio Storico Intesa Sanpaolo
A Milano, in pieno quadrilatero. È qui che si trova la sede meneghina (ce n’è una anche a Roma) dell’Archivio Storico Intesa Sanpaolo. Intorno c’è tutto quanto di importante ha la città. A due passi ci sono il Duomo e la Galleria Vittorio Emanuele, la Scala e Montenapoleone, poco più in là lo charme di Brera e se si allunga un po’ la passeggiata si finisce dritti nell’avveniristico quartiere di Porta Nuova.
Nato nel 1984 come Archivio storico della Banca Commerciale Italiana, l’Archivio Storico Intesa Sanpaolo custodisce i patrimoni archivistici di tutte le banche confluite nel Gruppo: contenuti che spaziano dalla storia dell’economia a quelle politica, sociale e del lavoro, dalla storia dell’urbanistica e dell’architettura a quelle dell’arte, dell’editoria e della letteratura, rappresentando un bene culturale di grandissimo valore. Dell’archivio fa parte anche il fondo Egeli, Ente di Gestione e Liquidazione Mobiliare, reso disponibile in occasione del progetto di esposizione digitale “ViteAttraverso: storie, documenti, voci di ebrei milanesi nel ‘900”. Nato all’interno della rete MilanoAttraverso, è frutto della stretta collaborazione tra gli archivi di Intesa Sanpaolo, Fondazione CDEC e ASP Golgi Redaelli, promotori della mostra, e della partecipazione di altri importanti fondi archivistici. La mostra, consultabile on line (viteattraverso.milanoattraverso.it/), racconta la storia di otto famiglie ebraiche milanesi discriminate dalle leggi antisemite e perseguitate dal nazi-fascismo. Tra queste famiglie, c’è anche quella di Lina Schwarz. E, sullo sfondo, Milano.
Lina Schwarz, poetessa e attivista sul filo della dottrina Steineriana
Poetessa e scrittrice di filastrocche e libri per bambini, Lina Schwarz è l’autrice della celebre ninna nanna in rima baciata “Stella, stellina”, passata negli anni di culla in culla. Nata a Verona nel 1876, all’età di 14 anni si trasferisce a Milano con la sua famiglia. È attiva presso l’Unione Femminile Nazionale, fondata a Milano nel 1899 da un gruppo di donne di diversa estrazione sociale, di cui molte ebree, impegnate nella salvaguardia delle lavoratrici e nella lotta per l’affermazione del valore sociale della maternità. La sua prima raccolta di versi “Il libro dei bimbi” è pubblicata nel 1904, lo stesso anno del primo incontro con Rudolf Steiner, fondatore dell’antroposofia, dottrina a cui Lina aderisce. Negli anni successivi comincia a diffonderne i principi attraverso l’organizzazione del primo gruppo milanese per la divulgazione dell’antroposofia e segue Steiner in diversi incontri, diventandone la traduttrice ufficiale. Il Censimento degli ebrei del 1938 riporta il suo nome, e con il suo quello dei suoi familiari. I suoi testi vengono censurati, tolti dai volumi scolastici, i suoi libri non vengono più pubblicati, ma tanto sono amati che vengono venduti sottobanco. L’Unione Femminile Nazionale viene sciolta nel 1939, ma riesce a conservare la proprietà del palazzo in corso di Porta Nuova, in cui rinascerà nel 1948. Cessano anche le attività dei gruppi antroposofici. Nel 1942 Milano si trova sotto assedio, gran parte delle sue bellezze architettoniche diventano macerie. Per fuggire a bombardamenti e persecuzioni Lina e altri membri della sua famiglia si rifugiano prima nella fattoria La Monda, ad Arcisate, poi riescono ad attraversare il confine svizzero, trovando rifugio a Brissago. Come si evince dai documenti Egeli, diversi beni della famiglia Schwarz vennero confiscati, tra cui l’appartamento di Lina in via Fiamma e due stabili di proprietà di Silvia Colorni, moglie di Willy Schwarz, nipote di Lina, in via Guido d’Arezzo e via Costanza. Sul finire della guerra, Lina si trasferisce di nuovo nella tranquilla Arcisate, dove morirà nel 1947.
La Galleria. Collezione e Archivio Storico BPER Banca
Modena accoglie così: con i miti di Ferrari e Pavarotti (ognuno con la sua casa museo), i portici, la pulsante piazza Grande, il Duomo e la Torre Ghirlandina, la Galleria Estense, il gioiello liberty del mercato Albinelli, il curioso museo della Figurina, una gioia per adulti nostalgici. A questo si aggiunge una gastronomia d’eccellenza, con l’Aceto Balsamico Tradizionale Dop al primo posto. Nel centro storico medievale sbuca, in via Spadari, la sede direzionale dell’istituto di credito BPER Banca, che ospita al suo interno La Galleria. Collezione e Archivio storico BPER Banca, uno spazio espositivo che ospita tutto il patrimonio artistico della banca, venuto a costituirsi a partire dagli anni ’50, con l’acquisto di opere d’arte destinate all’arredo delle sale di rappresentanza, poi con l’aggiunta di opere emiliano-romagnole dal ‘400 al ‘700, a testimonianza del legame che la Banca ha con il territorio, e infine con le opere provenienti dai nuclei collezionistici delle banche entrtate a fare parte del Gruppo.
Ad affiancare la raccolta d’arte, vi è l’Archivio Storico, che trova posto in altra sede, un po’ defilata rispetto al centro cittadino. Nei documenti rivive tutta la storia dell’istituto di credito, una storia lunga 155 anni, che parla di impresa, territorio e persone. Alcune delle narrazioni sviscerate dalle carte d’archivio sono raccontate attraverso una serie di “Quaderni” di studio pubblicati a partire dal 2018. Uno, in particolare, parla di donne. Si tratta de “Le signorine della Banca Popolare di Modena”, che indaga il percorso tortuoso delle donne verso l’affermazione nel settore impiegatizio, in questo caso quello bancario, per lungo tempo appannaggio degli uomini.
Le Signorine, simbolo di emancipazione femminile
La Banca popolare di Modena apre i battenti ne 1869. Una decina d’anni dopo cominciano a giungere missive di richieste di assunzione da parte di ambiziose maestre o ragioniere appena diplomate nel tentativo di varcare la soglia dell’edificio all’angolo tra via Emilia e corso Canalgrande. Tuttavia le loro domande rimangono inascoltate o respinte e il personale dell’istituto di credito rimane composto da soli uomini. Fino al 1915. Con la Grande Guerra sull’uscio, molti dipendenti vengono richiamati alle armi, i posti negli uffici bancari rimangono vacanti. A sostituire gli uomini al fronte, sebbene in via del tutto provvisoria (contratti precari e nessun diritto da accampare), arrivano “Le Signorine”, appellativo che compare anche nei documenti ufficiali e che significa: niente matrimonio, pena il licenziamento velato da false dimissioni. Terminata la guerra, con il rientro degli uomini dal fronte, le signorine vengono esonerate.
Tuttavia questo afflusso di donne negli uffici bancari (come anche in altre aziende private) rappresenta un primo piccolo passo verso l’emancipazione femminile: la donna non era più, finalmente, solo l’angelo del focolare.
Una seconda occasione di ampliare il personale femminile nella Banca popolare di Modena si presenta con la Seconda guerra mondiale, quando il consiglio di amministrazione autorizza l’assunzione “straordinaria, fluttuante fuori ruolo” di dipendenti prevalentemente femminili, occupate in mansioni manuali di smistamento, elencazione e ordinamento. Quantomeno non si prevedono differenze di retribuzione tra uomini e donne. Nel secondo Dopoguerra, vengono confermate a servizio della banca 24 signorine, ma senza la possibilità di un avanzamento di carriera. Nel 1963 viene affermato il “Divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio” e nel 1977, con la Legge 903, detta “Legge di parità”, vengono soppresse le vecchie forme di tutela del lavoro femminile, per equiparare (almeno sulla carta) il trattamento tra lavoratrici e lavoratori.
Il cammino verso la parità di diritti sul posto di lavoro è ancora in corso, ma la politica aziendale di BPER Banca si muove a grandi passi verso questo obiettivo, puntando sulla valorizzazione del talento femminile: oggi la percentuale di dipendenti donne del Gruppo supera il 40%.
Museo e Archivio storico del Banco di Napoli - Il Cartastorie
Il patrimonio degli antichi banchi pubblici napoletani sta in via dei Tribunali, all’interno dello storico Palazzo Ricca. A pochissimi passi da San Gregorio Armeno, dal Museo del Tesoro di San Gennaro, dall’ingresso a Napoli Sotterranea, dalla Cappella Sansevero.
I documenti conservati nell’archivio – scritture, registri, liste dei clienti, fedi di credito – risalgono fino alla prima metà del ‘500 e insieme a pagine e pagine di causali di pagamento che specificano per filo e per segno il motivo delle transizioni, restituiscono storie curiose su Napoli e le figure più o meno note che l’hanno vissuta secoli or sono. Dai grandi tomi escono voci, video e immagini che raccontano del principe di Sansevero, Caravaggio, Velázquez o Verdi, vicende legate a San Gennaro e alla peste che mise in ginocchio Napoli nel ‘600, o storie di crimini d’onore, come quella che coinvolse Maria d’Avalos.
Maria d’Avalos, la tragica fine di un amore clandestino
Sposa tre volte. Vedova due. Nobile, bella e affascinante, Maria d’Avalos non fu tuttavia fortunata in amore. Il terzo giro di nozze fu con il Principe di Venosa Carlo Gesualdo. Talentuoso e celebre compositore, viveva per la musica. Passava le notti a pizzicare le corde del suo liuto e Maria, dal canto suo “sapeva che sarebbe appassita tra le sabbie della malinconia, se un fuoco nuovo non le avesse scaldato il battito dei polsi” (testimonianza di una serva di corte). Quel fuoco si chiamava Fabrizio Carafa, duca d’Andria e conte di Ruvo, detto “l’arcangelo” tanto era avvenente. Galeotta fu una festa da ballo, la scintilla fu inevitabile. Ai primi incontri fortuiti ne seguirono altri più audaci e poco prudenti. Così, dopo poco, nei nobili salotti si facevano sottili allusioni alla liaison, e anche tra il popolo prese piede il chiacchiericcio, più schietto. Le voci arrivarono anche all’orecchio di Carlo Gesualdo che non volle da subito credere a quelle maldicenze. Ma quando il pettegolezzo gli giunse anche da un parente stretto i sospetti aumentarono e, per accertarsi che quelle dicerie avessero un fondo di verità, Carlo progettò un agguato ai due amanti. Il 17 ottobre 1590 il Principe di Venosa disse di che si sarebbe recato a una battuta di caccia ad Agnano e che si sarebbe fermato fuori per la notte. In realtà trovò ricovero presso amici in un palazzo vicino piazza San Domenico Maggiore. Maria, con la complicità della sua cameriera personale invitò Fabrizio nella sua stanza. A notte fonda, Carlo Gesualdo, irruppe nella camera di Maria. L’efferato omicidio dei due innamorati si consumò in pochi istanti. In uno dei palazzi più belli di Napoli, palazzo Sansevero, perché è proprio qui che avevano residenza i coniugi. Nulla si sa della sepoltura dei due amanti. A Napoli però questa storia rivive ancora. Non solo ne Il Cartastorie, ma anche tra l’obelisco di piazza San Domenico Maggiore e il palazzo Sansevero: qui, al calar della sera e del silenzio, il fantasma della bellissima Maria d’Avalos vaga emettendo strazianti lamenti. Forse in cerca dell’amante perduto.