Oggi la parola “design” è sulla bocca di tutti, per indicare un oggetto, un arredo, un edificio o un packaging bello, attuale, al passo con il presente e, più spesso, con il futuro. Ma sono davvero solo queste le accezioni con cui si identifica il design?

Design si può tradurre con “disegno” o “progetto”. E per progettare (dal latino iacere, gettare avanti) bisogna conoscere il passato, capire il presente e immaginarsi il futuro. Che sia industrial, interior, web, communication o graphic, il design è una disciplina tecnica e scientifica, ma anche sociologica e umanistica, che sposa arte e ingegneria, innovazione e stile. Soprattutto, è un approccio alla soluzione dei problemi: la progettazione deve partire dal bisogno e dall’esigenza concreta dell’utente finale. Dunque, un prodotto bello ma non funzionale, un contenuto interessante ma poco leggibile, un sito web graficamente attrattivo ma di scarsa usabilità, non si possono inserire nell’insieme del buon design.

A testimoniare invece l’eccellenza in questo campo è il territorio lombardo. La Lombardia, prima regione in Italia a livello industriale, è un contenitore di validissime aziende che sono riuscite a proporre al pubblico eleganti soluzioni di design che soddisfano criteri di estetica, economia, qualità ed efficienza del prodotto. Sparsi per il territorio, a valorizzare il patrimonio industriale del design lombardo, ci sono musei, collezioni e archivi interessantissimi, ospitati in spazi di grande fascino.

Archivio Storico SDF e Museo SAME

Un altro modo di fare agricoltura. Un altro modo di fare buon design. Di certo meno eccentrico, schivo, ma di cui non si può fare a meno. La produzione di macchine agricole è uno dei comparti industriali italiani che occupa posti di rilievo nel mondo. Merito delle tecnologie avanzate, ma anche di una tradizione molto forte e ben radicata. Tradizione che, si può dire, parte anche da SAME, fondata nel 1942 dai fratelli Cassani, che già nel 1927 avevano costruito uno dei primi trattori al mondo con motore diesel. La capacità dei due uomini di innovare, adattarsi e rispondere alle esigenze dell’epoca è esemplare. Il successo dell’azienda cresce nel tempo, tanto che SAME acquisisce prima Lamborghini Trattori, poi la svizzera Hürlimann e, nel 1995, la tedesca DEUTZ-FAHR, formando il gruppo SDF (SAME DEUTZ-FAHR), che oggi è uno dei principali produttori di macchine agricole e motori diesel al mondo. La lunga e affascinante storia dell’azienda, l’evoluzione e la tecnologia applicata a questo settore così fondamentale per la produzione alimentare, ma anche per l’occupazione, si può scoprire attraverso il Museo SAME e consultando i documenti conservati nell’Archivio Storico SDF, a Treviglio, in provincia di Bergamo, dove tutto è iniziato. Il percorso si snoda in uno spazio espositivo di circa 1000 metri quadrati: i trattori, collocati in ordine cronologico dal 1927 al 1983, i motori e le componenti meccaniche sono raccontati attraverso dépliant pubblicitari, cataloghi di prodotto e immagini che testimoniano la comunicazione dell’epoca e la sua evoluzione.

Kartell Museo

Kartell nasce nel ‘49 dalla geniale mente di Giulio Castelli, neolaureato in ingegneria chimica e allievo del premio Nobel Giulio Natta. Prima azienda in Italia e una delle prime in Europa a produrre oggetti per la casa in materiale plastico, Kartell ha contribuito a una vera e propria rivoluzione nel campo del design. Dopo i primi autoaccessori, nel 1951 arrivano in catalogo i primi casalinghi di Gino Colombini. Nel 1958 nascono la Divisione Illuminazione, con le lampade di Achille e Pier Giacomo Castiglioni e Marco Zanuso, e la Divisione Labware, dedicata agli articoli da laboratorio in materiale plastico. Ma è negli anni ’60, con la Divisione Habitat, che vengono realizzati i primi prodotti Kartell di arredo destinati a diventare icone del design made in Italy. Nel ‘64 Marco Zanuso e Richard Sapper creano la sedia per bambini K 1340 (poi chiamata K 4999), la prima interamente realizzata in materiale polimerico. Sul finire degli anni Sessanta si inaugura lo stabilimento di Noviglio, progettato da Anna Castelli Ferrieri (architetto, designer e moglie di Giulio Castelli) e Ignazio Gardella. Nello stesso periodo, dalla collaborazione con Joe Colombo, arriva la 4867, la prima sedia in plastica per adulti. Le creazioni vengono prodotte per iniezione attraverso stampi a due o più matrici, assemblate secondo il disegno, in cui viene appunto iniettato il materiale polimerico. Un metodo di fabbricazione innovativo e rapido, che consente di ottenere una produzione industriale di oggetti belli e avveniristici, a costi contenuti. Nel ‘69 arriva un altro classico senza tempo: i mobili contenitori Componibili Tondi con sportelli scorrevoli, disponibili in diversi colori, progettati da Anna Castelli Ferrieri, best seller da oltre cinquant’anni. Nel ‘72 il MOMA di New York celebra il made in Italy con la mostra “Italy: the new Domestic Landscape”. Curata da Emilio Ambasz, la mostra punta i riflettori sui grandi progettisti italiani. Kartell vi partecipa con tre prototipi abitativi disegnati da Ettore Sottsass, Marco Zanuso e Richard Sapper e Gae Aulenti. Nel 1988 Claudio Luti, genero dei Castelli, acquisisce l’azienda e si avvale della collaborazione dei migliori designer e architetti italiani e stranieri, tra i quali vi sono Ron Arad, Antonio Citterio, Ferruccio Laviani, Piero Lissoni, Alberto Meda, Vico Magistretti, Philippe Starck e Patricia Urquiola. Il materiale viene approcciato in maniera tutta nuova dando vita a prodotti d’eccellenza: forme piacevoli, alta resistenza e ottima funzionalità. Nel 1999 Kartell è l’unico brand al mondo a servirsi del policarbonato per realizzare oggetti di arredo monomaterici. Nascono due creazioni simbolo disegnate da Philippe Starck: La Marie, una sedia trasparente dalle linee essenziali a cui segue la Louis Ghost, anch’essa trasparente, ma ispirata alle poltroncine in stile Luigi. D’ora in poi Kartell non smetterà mai di fare innovazione sul tema della trasparenza, caratteristica che ha reso il brand unico e originale, continuerà a fare ricerca su superfici e forme e si avvarrà di tecniche di lavorazione avanzate e di materiali performanti.

Oggi, tutta questa storia la si trova nel Kartell Museo: nato nel 1999 in occasione del cinquantesimo anniversario dell’azienda e insignito l’anno dopo del Premio Guggenheim Impresa & Cultura come migliore museo di impresa, è uno spazio espositivo meraviglioso allestito nella storica sala mostre dello stabilimento aziendale. In mostra sono un migliaio di oggetti che restituiscono un quadro preciso dell’evolversi del brand e della sua produzione.

Molteni Museum

Siamo in Brianza, un territorio a forte vocazione mobiliera. Qui pullulano atelier e piccoli mobilifici che spesso portano il nome del titolare dell’impresa e dove tutto è prodotto su misura, con minuzia e un mix di tecniche artigianali e industriali. A Giussano negli anni Trenta Angelo Molteni ha già la sua bottega artigiana. Esordisce così, da piccola realtà, come tante altre falegnamerie locali. Al suo fianco la moglie, Giuseppina, contabile esperta. Insieme, pochi anni dopo fondano la ditta Arredamenti Angelo Molteni, che nel 1947 conta già 60 lavoratori, tra artigiani e collaboratori. Negli anni Cinquanta l’azienda è già più industria e meno bottega: ci sono segherie e reparto tranciatura, arrivano dalla Germania le prime macchine industriali. Ma rimane, forte, l’aderenza alle radici, alla tradizione e all’alta qualità dei prodotti, rifiniti sempre con la massima cura. Molteni diventa una delle più grandi aziende europee di mobili e la prima in Brianza con un’organizzazione di tipo industriale per la produzione in serie.

Nel ’55, alla prima “Mostra Selettiva – Concorso Internazionale del Mobile” di Cantù, Molteni presenta il primo prototipo di mobile moderno: un cassettone con il giunto geometrico a tripla forcella (ovvero realizzato totalmente in legno, senza l’utilizzo di viti in ferro), progetto dell’architetto svizzero Werner Blaser, allievo di Alvar Aalto e assistente di Ludwig Mies van der Rohe, vincendo il primo premio.

Negli anni 60 Angelo Molteni è tra i 14 fondatori del Salone del Mobile e nel 1968 la produzione passa in poco tempo dal mobile in stile a quello moderno: un passaggio sancito dall’incontro con Luca Meda, a cui viene affidata la direzione artistica del brand, e che ha portato alle importanti collaborazioni con Aldo Rossi e Afra e Tobia Scarpa. Negli anni ’70 l’azienda è in continua crescita, apre le prime filiali all’estero e dagli anni ‘90 inizia a collaborare con i grandi nomi dell’architettura italiana e internazionale, tra cui Renzo Piano, Jean Nouvel, Álvaro Siza, Norman Foster. Oggi nulla è cambiato, a parte i numeri: Molteni è un gruppo di fama mondiale che comprende tre brand: Molteni&C Dada, produttori di mobili per la casa e cucine, UniFor, specializzata in soluzioni di design contemporaneo per l’ufficio, e Citterio, che oltre a mobili per ufficio è leader europeo per la realizzazione di pareti divisorie. Ha quattro siti industriali in Italia, centinaia di linee di prodotto, circa 180 mila metri quadrati di superficie produttiva coperta, 941 dipendenti, 10 filiali commerciali, 600 punti vendita, 55 monomarca, quattro centri di Ricerca e Sviluppo. Lavora con grandi nomi dell’architettura come Rodolfo Dordoni, Vincent van Duysen, Michele De Lucchi e brillanti designer come Ron Gilad, Michael Anastassiades, Francesco Meda e Studio Klass. Produce arredi di altissima gamma, attraverso processi produttivi 100% made In Italy.

Nel 2015, in occasione degli 80 anni dell’azienda, è stato inaugurato il Molteni Museum, con la curatela di Jasper Morrison, un nome che facilmente fa intuire quanta cura ci sia nell’organizzazione dello spazio espositivo. Ben integrato nell’area del sito produttivo aziendale, il museo è un grande open space con un allestimento leggero e minimal che incornicia ognuno dei 48 prodotti icona del brand come fossero opere d’arte. Il museo si occupa inoltre delle riedizioni di importanti arredi storici come quelli per esempio di Gio Ponti raccolti nella Heritage Collection. A fine 2021, è prevista l’inaugurazione di un nuovo edificio dedicato interamente al museo curato da Ron Gilad.

MUMAC - Museo della Macchina per Caffè di Gruppo Cimbali

Nel 1912 Giuseppe Cimbali apre un negozio per la lavorazione del rame in centro a Milano. Negli anni ’30, con l’acquisizione di un suo cliente, l’azienda S.I.T.I., specializzata nella produzione di macchine per caffè espresso, viene fondata la Ditta Giuseppe Cimbali. Nasce Rapida, la prima macchina a marchio LaCimbali, con una caldaia in verticale e funzionamento a vapore. L’attività cresce e raggiunge il pieno successo negli anni ’50, quando Cimbali dota le sue macchine della tecnologia a leva, che consente l’erogazione di un espresso con la crema: nato in quegli anni, era l’evoluzione del caffè nero prodotto e bevuto nel periodo storico precedente. Nel 1962 Cimbali collabora con gli architetti Castiglioni per la realizzazione di una nuova macchina per il caffè espresso: nasce Pitagora. Le linee essenziali e pulite, l’esclusivo utilizzo dell’acciaio inox, del colore e della serigrafia, le valgono il Compasso d’Oro. Ed è proprio il design rigoroso della Pitagora a permettere l’industrializzazione dei prodotti LaCimbali. A metà degli anni ’90 Cimbali acquisisce la storica concorrente FAEMA, dando vita a Gruppo Cimbali, che oggi vanta anche la presenza dei brand Slayer, Casadio e Hemerson. Il gruppo, saldamente in mano alla stessa famiglia da più di cent’anni, vanta oltre sessanta brevetti per soluzioni innovative ed è leader nel mondo delle macchine professionali per bevande a base di caffè espresso: una realtà tutta italiana con una rete di distribuzione in oltre 100 paesi e 700 distributori.

Nel 2012, in occasione del centenario aziendale, la famiglia Cimbali inaugura il Mumac, il museo delle macchine per caffè espresso professionali. Nel quartier generale dell’azienda, a Binasco, quello che originariamente era uno dei magazzini di ricambi è stato trasformato in spazio polifunzionale che ospita l’esposizione permanente, la MUMAC Academy, luogo di formazione e di diffusione della cultura del caffè aperto a professionisti e appassionati, la MUMAC Library, una delle più grandi biblioteche dedicate al caffè, oltre a location per manifestazioni ed eventi. Un progetto ambizioso firmato dall’architetto Paolo Balzanelli e dall’ingegnere Valerio Cometti, che ne hanno curato tutti gli aspetti architettonici e allestitivi, con restyling successivi firmati da Gruppe Gut-Officina di design nell’esposizione e dallo studio traverso-vighy architetti negli spazi di accoglienza. Un edificio di grande impatto visivo, grazie alle forme sinuose e al rosso delle pareti esterne. In mostra, i 100 modelli più significativi (per innovazione tecnologica e design) di macchine per il caffè espresso, dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri, di tutti i brand pietre miliari del settore. L’allestimento di ogni sala riproduce esattamente le atmosfere tipiche del periodo preso in analisi, con arredi del tempo, musiche in sottofondo e grafiche evocative. Un modo originale per ripercorrere le orme del design attraverso l’evoluzione di un oggetto di uso quotidiano come la macchina del caffè, testimone di tutti i cambiamenti di gusto e di stile della società italiana.

Museo Fratelli Cozzi

Una passione travolgente, quella di Pietro Cozzi per l’Alfa Romeo, brand che ha fatto del design e della tecnologia i suoi punti di forza. Il commendatore, nel 1955, apre la concessionaria di auto col Biscione a Legnano e comincia a collezionare auto, non auto qualunque, ma un esemplare per ogni modello Alfa Romeo, scelto tra quelli più performanti o interessanti ai fini del collezionismo: berline, coupé, spider. Il primo è stata la Giulietta TI giallo Cina, che avrebbe dovuto essere demolita e invece Pietro Cozzi disse a chi di dovere: “Mettila lì”. Sessant’anni dopo nasce il Museo Fratelli Cozzi, uno spazio unico nel suo genere che rappresenta di fatto la connessione tra il mondo dell’auto e l’architettura. A firmare il concept design del museo sono Gabriele e Oscar Buratti, che scelgono cromie di particolare suggestione, il bianco per l’esterno dell’edificio, il rosso abbagliante che accoglie i visitatori e il nero del pavimento, che ricorda il manto stradale e risalta gli oggetti e le auto esposti. E anche l’illuminazione non è lasciata al caso: le vetture sono sistemate come fossero in passerella, con luci che sottolineano cromature e dettagli. Tra i modelli ci sono due esemplari unici al mondo: l’Alfa 155 del record di velocità e la Giulia 1600 TI Super Quadrifoglio Verde, unico esemplare prodotto in grigio. Tutte le auto della collezione, prodotte dal 1950 al 2015, sono perfettamente conservate, luccicanti, originali, funzionanti e raccontano la storia più recente del nostro Paese. Oltre alle auto, un importante archivio: il Cozzi.LAB, dove sono conservati più di 300 poster originali, centinaia di fotografie, depliant, libretti d’uso, cataloghi auto e ricambi, manuali di riparazione, trofei, oggetti d’arte insieme alle maggiori riviste e libri di settore. E migliaia di documenti che testimoniano anche il percorso commerciale di queste auto: le tecniche di vendita e di marketing della concessionaria che le ha vendute

Officina Rancilio 1926

Siamo a Parabiago, nel 1926. Roberto Rancilio lavora in una piccola officina meccanica come operaio, finché decide di aprire una sua officina. Non per produrre calzature, come la tradizione locale avrebbe voluto, bensì per iniziare a realizzare un prodotto fino ad allora sconosciuto a molti: la macchina per caffè istantanea. Era già stata brevettata nel 1901 da Bezzera, ma l’aggeggio in questione di certo era ancora una novità assoluta, mai entrata nell’uso quotidiano degli italiani, e Rancilio aveva davanti a sé una grande sfida. Nel 1927 realizza la sua prima macchina: la Regina. Fino al 1956, anno della sua dipartita, ne realizza molte altre, sempre innovandole e dotandole di nuove tecnologie: quelle a struttura verticale o quelle con il nuovo sistema a leva. Sono i tre figli di Roberto, Francesco, Antonio e Romano, a raccogliere l’eredità aziendale e a continuare sulle orme del padre, gestendo in maniera impeccabile l’impresa di famiglia. Nel tempo, l’aspetto artigianale lascia spazio sempre maggiore alla modernità e all’industrializzazione del brand. Rancilio è un nome ormai riconosciuto ovunque. È il desiderio di proiezione verso il futuro che porta l’impresa, nel 1971, a collaborare con Marco Zanuso (uno dei primissimi progettisti a lavorare con grandi marchi aziendali nella realizzazione di oggetti di uso quotidiano), per aggiungere in catalogo una nuovissima macchina: la Z8. La macchina per caffè istantanea che sancisce il successo dell’azienda, aprendo a Rancilio le porte dei più importanti mercati internazionali. Nel 2010, nasce il museo aziendale Officina Rancilio 1926, proprio lì, in centro a Parabiago, nei locali occupati una volta dall’officina artigianale di Roberto Rancilio. Il museo si propone come spazio culturale in cui valorizzare e promuovere il patrimonio storico di Rancilio. In esposizione, sessanta macchine storiche prodotte dal 1927 al 1980 e venti macinini vintage, un archivio di immagini e documenti che raccontano la storia dell’azienda e della famiglia, della comunicazione e della pubblicità.

Adi Design Museum

È in un articolo della rivista Domus, nel 1952, che Gio Ponti solleva il problema: la professione del disegnatore industriale, il suo lavoro e il suo prodotto andrebbero riconosciuti ufficialmente. Due anni dopo è lo stesso Gio Ponti a inventarsi il premio Compasso d’Oro, da allora e per sempre il riconoscimento più prestigioso riconosciuto alle eccellenze del design italiano: è Albe Steiner, ispirato dal compasso di Adalbert Goeringer e dalla sezione aurea, e con la collaborazione di Marco Zanuso e Alberto Rosselli, a disegnarne l’immagine. Nel 1956, su iniziativa di un gruppo di architetti, progettisti e imprenditori, nasce ADI, l’Associazione del disegno industriale, che eredita nel 1958 l’organizzazione del premio Compasso d’Oro, fino ad allora affidata a La Rinascente.

Ad ogni edizione, una giuria qualificata premia i progetti più meritevoli tra quelli già selezionati dall’Osservatorio permanente del Design ADI e raccolti dall’ADI Design Index.

Oggi la Collezione Storica del Premio Compasso d’Oro ADI, gestita dalla Fondazione ADI, raccoglie gli oltre trecento progetti e prodotti insigniti del riconoscimento, insieme alle Menzioni d’onore, e trova collocazione permanente nel nuovissimo ADI Design Museum, in piazza Compasso d’Oro 1,  in corrispondenza di via Ceresio e piazzale Monumentale, a Milano. Inserito nel contesto di un’ex area industriale, in cui oggi gravitano cultura e moda, il museo nasce dal recupero di un edificio degli anni ’30, in passato deposito dei tram a cavallo e impianto di distribuzione di energia elettrica. Lo spazio espositivo non si pone come polo d’attrazione solo per gli addetti ai lavori, ma è una realtà inclusiva che si apre alla città, narrando non solo il design in senso stretto, ma anche il suo contorno, con mostre temporanee di approfondimento o tematiche che, grazie al grande lavoro di un gruppo di curatori e progettisti, non hanno un netto confine con la permanente, ma convivono e dialogano con essa.

 

Articolo redatto in collaborazione con 

 

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