L’alveare come simbolo di comunità e collaborazione. Proprio come le api lavorano insieme in un alveare, gli esseri umani prosperano quando si uniscono e si sostengono a vicenda. L’alveare ci insegna l’importanza dell’unità e la forza che si può trovare negli sforzi collettivi. Quando osserviamo un alveare, vediamo l’intricata rete di compartimenti esagonali, ciascuno con uno scopo specifico. Allo stesso modo, in una comunità, ogni individuo ha il suo ruolo unico e il suo contributo da dare.
Ma l’alveare, quale luogo dell’operare preciso, in rete per eccellenza, può anche divenire zona oscura, in cui l’intricata rete di compartimenti s’inceppa e lo scopo specifico di ognuno diventa il suo assoluto e perde la dimensione d’insieme. Allora l’alveare si tramuta in zona d’ombra, i passaggi si trasformano in luogo di potere indecifrabile e separato dalla comunità. Il grande Stanley Kubrick in “2001: Odissea nello spazio” aveva presagito come il grande alveare scientifico, la rete, potesse perdere la connessione con l’umana condizione per celebrare la perfezione del pensiero tecnologico indifferente alla fragilità dell’esistenza.
Da qui, il gruppo di lavoro ha scelto di costruire la mostra attorno al tema dell’alveare, inteso come paradigma della filosofia olivettiana: forma, funzione, obiettivo. Ed ecco che nel percorso espositivo troviamo gli oggetti, “alveari scientifici”, come la Divisumma 24, la calcolatrice elettromeccanica in cui le migliaia di leve indipendenti lavorano tutte insieme per lo stesso scopo, l’Olivetti Programma 101, il primo personal computer di cui viene mostrato il meccanismo interno, e la memoria dell’elaboratore elettronico Elea 9003, affascinante e intricato sistema di cellette. Si prosegue poi con gli “alveari architettonici”, le immagini dello stabilimento di Harrisburg in Pennsylvania, con le innovative soluzioni riguardo l’utilizzo della luce naturale, gli spazi condivisi tra capi e operai, in cui l’accostamento di tanti moduli consente di dar vita a una grande struttura caratterizzata da una forma geometrica regolare e ripetitiva, e quelle dello stabilimento di Scarmagno, l’alveare dove si compie la transizione dalla meccanica all’elettronica. Troviamo le immagini della Mensa Olivetti, a forma di esagono irregolare, luogo di incontro, delle attività culturali, “alveare comunità”, dove intellettuali come Altiero Spinelli, Eugenio Montale ed Eduardo De Filippo tengono conferenze per gli operai, testimoniate dalle locandine in mostra. Una comunità a cui Olivetti si rivolge anche con un approccio ecologista con l’adesione alla campagna internazionale “Save our Planet” lanciata nel 1971 dall’Unesco, con una serie di sei manifesti di cui in mostra è esposto quello realizzato da Ernest Trova, espressione della responsabilità sociale dell’impresa declinata in ambientalismo ante-litteram.
Una particolarità: non sono presenti in mostra macchine per scrivere perché il gruppo ha scelto di focalizzare l’attenzione sul dato scrittura in maniera non consueta, inserendo a testimonianza dell’evoluzione tecnologica del sistema a margherita non oggetti ma grafiche storiche e contemporanee.
Non dobbiamo dimenticare che la biblioteca è stata il perno di tutto il sistema culturale Olivetti. Ad Ivrea, in via Jervis, era sempre aperta, a disposizione non solo degli operai durante le pause, ma di tutto il territorio: un vero e proprio centro culturale. Tra il 1950 e il 1964 ha ospitato 249 conferenze, 71 concerti di musica da camera, 103 mostre d’arte, 52 altre manifestazioni (dibattiti, presentazione di libri…), aperte ai dipendenti e a tutto il territorio.
La mostra L’alveare. Olivetti oltre la forma torna oggi nel suo luogo naturale: la Biblioteca del Centro Servizi Sociali di Ivrea, un edificio straordinario, che si sviluppa attorno alla forma esagonale, inglobandola, elaborandola, e diventando un alveare metaforico brulicante di opere e immagini.
Nel percorso espositivo, le informazioni storiche sugli oggetti si affiancano all’interpretazione personale dei partecipanti: narrazioni che restituiscono memoria immaginifica alle opere e contribuiscono a dar loro un “senso rinnovato”. Il giorno dell’inaugurazione, questi racconti diventano intensi momenti performativi tenuti dai partecipanti al percorso.