È giunto a conclusione il lungo lavoro di ordinamento dell’Archivio Industriale Bitossi avviato nel 2000. Ne parliamo con Paolo Pinelli, segretario del segretario del Museo Artistico industriale Bitossi che ci parla dei prossimi progetti.

Elisa Fulco: La famiglia Bitossi è l’erede di una lunga storia di successo nel campo della ceramica. Che rapporto c’è tra il passato e l’attualità aziendale?

Paolo Pinelli: Quando nel 1921 Guido Bitossi decide di costituire la manifattura “Maioliche Artistiche Guido Bitossi”, la sua attività è assolutamente in continuità con quanto fatto nei secoli precedenti dai suoi antenati e più recentemente dal nonno Tito e dal padre Egidio. La famiglia Bitossi già nel 1500 risulta proprietaria di fornaci da ceramica e da sempre è residente a Montelupo, il distretto ceramico di Firenze sin dal Medioevo. Cinzia Bitossi oggi continua e sviluppa un’esperienza basata sulla storia familiare e sulle “competenze” artigianali e tecnologiche del territorio.

EF: Prima di approdare alla Fondazione Bitossi nel 2007 e di dar vita al Museo Artistico Industriale Bitossi e all’Archivio Industriale Bitossi la prima vostra azione culturale è stata quella di recuperare e studiare la produzione ceramica locale. Che tipo di visione si cela dietro questo investimento?

PP: Dalla metà degli anni Ottanta, abbiamo partecipato al grande progetto di ricostruzione della storia della ceramica di Montelupo promossa dall’ente locale. In questo quadro abbiamo sostenuto per oltre venti anni il programma di ricerche archeologiche ed archivistiche del Museo della Ceramica di Montelupo e abbiamo pubblicato con una nostra società editrice la “Storia della ceramica di Montelupo”, una collana di cinque volumi. Dietro a questa scelta ci sono certamente le ragioni del cuore e cioè il forte legame con la propria terra, con la storia della propria famiglia, con una attività che ci identifica da sempre. Ma c’è anche la convinzione che l’identità stessa e il futuro di un’industria dipendono dalla sua capacità di innovare il prodotto, il processo produttivo, le modalità e l’organizzazione di vendita. Ebbene, la storia di un’azienda non è altro che il racconto di come, nel tempo, sia riuscita ad attuare quelle continue trasformazioni. Per questo la conoscenza della storia oltre ad essere una fonte di forza interiore ed un valore da comunicare all’esterno, dà all’individuo la conoscenza e la consapevolezza dei meccanismi dell’innovazione così come si sono manifestati ed evoluti nel tempo. Le forme ed i contenuti dell’innovazione cambiano sempre ma le motivazioni ed i meccanismi sono eterni.

EF: Che cosa ospita di fatto il vostro Archivio?

PP: L’archivio, collocato all’interno della sede storica dell’azienda insieme al Museo Artistico Industriale Bitossi, conserva disegni, fotografie, documenti, pubblicazioni e oltre 7000 ceramiche in gran parte già catalogate, e un migliaio di altre manifatture toscane.

EF: Ci sono dei progetti in cantiere che mirano a valorizzare il grosso impegno dell’Archivio?

PP: Alla fine del 2012 pubblicheremo la biografia di Aldo Londi, figura chiave nell’evoluzione dell’impresa. Londi dal 1946 al 1976 ha realizzato uno stile innovativo basato sulla forma, sul colore, sulla tessitura delle superfici distaccandosi sensibilmente dalla tradizione di decorazione pittorica al tempo prevalente.

EF: In trent’anni ha dato vita alla produzione ceramica che oggi rappresenta maggiormente il cuore del Museo Artisitco Industriale Bitossi. Si deve ad Aldo Londi l’entrata di Bitossi Ceramiche nel mondo del design?

PP: Londi è stato certamente uno spirito ribelle verso l’ortodossia della tradizione. È stato più un cultore della forma che del decoro. Perciò era naturalmente predisposto ad accogliere gli stimoli che dall’inizio degli anni ‘50 venivano sia dal mercato americano che dalle tendenze stilistiche del nord Europa. Ebbe così un ruolo di primo piano nell’unire la manualità, il gusto e la creatività tipiche del nostro artigianato artistico con il metodo rigoroso del design, un processo che richiede un rapporto stretto fra progetto e realizzazione manuale del prodotto su vasta scala. Era lo “stile moderno” ovvero il Made in Italy nella ceramica.

EF: Nel 1947 dalla “Premiata Manifattura Cav. Guido Bitossi & Figli” si sviluppa il colorificio ceramico. Questo fatto ha influito nell’attività di Londi in qualità di direttore artistico della manifattura?

PP: La seconda guerra mondiale aveva provocato la distruzione dei colorifici ceramici più importanti. I Bitossi decisero perciò di sviluppare questa attività prima di tutto per il fabbisogno della propria manifattura ma, inevitabilmente, anche per le numerose altre piccole aziende del settore. Rapidamente questa attività divenne preponderante rispetto alla produzione ceramica vera e propria. Londi ebbe così l’opportunità di avere a disposizione all’interno dell’azienda una vasta gamma di prodotti e soprattutti i “tecnici” del colorificio ai quali commissionava i colori per i suoi “sogni” realizzando di fatto un processo di sperimentazione continua. Nascono proprio in questo ambiente i prodotti “impossibili” destinati a cambiare il modo di fare ceramica, inventando nuovi processi di applicazione degli smalti sulle superfici che avevano ormai cessato di essere il supporto liscio e passivo della decorazione tradizionale per diventare esse stesse, nella struttura della materia, “texture” attraverso la graffiatura, la scalfitura, le incisioni a stampini, l’applicazione di bassorilievi e via dicendo. Appartiene a questa tipologia la famosa serie “Rimini blu”, prodotta dal 1959 ad oggi, che ha rappresentato nel mondo la magia della ceramica italiana nel periodo della dolce vita evocando già nel nome il modo italiano di vivere, un valore che accompagna sempre ogni prodotto del made in Italy.

EF: Di grande interesse anche la collaborazione storica con Ettore Sottsass.

PP: L’incontro con Ettore Sottsass avviene a metà degli anni Cinquanta tramite Irving Richards, uno dei nostri principali clienti americani. È l’inizio di un sodalizio che darà vita a progetti del tutto sganciati da logiche commerciali, dalle nuove prospettive formali e coloristiche: le Ceramiche  di Lava del 1957, la  serie BiancoNero del 1959, i Totem del 1964-’65. Una lezione che tra il 1981 e il 1985 ci porta a collaborare con i designer del gruppo Memphis, fondato dallo stesso Sottsass, e a realizzare ancora una volta oggetti più emozionali che funzionali. Un filone di ricerca ancor oggi molto attivo che vede l’azienda collaborare con i principali designer nazionali e internazionali:  Karim Rashid, Arik Levy, Ginevra Bocini, Mario Ferrarini, Luisa Bocchietto, Fabio Novembre, Ronan & Erwan Bouroullec etc.

EF: Questa ricchezza di archivio di progetti e di prestigiose collaborazioni dà vita o influenza nuovi prodotti?

PP: Il patrimonio storico  dell’Archivio è già fonte di una nuova linea produttiva dell’azienda  “Cav. Guido Bitossi & Figli. Riedizioni ‘50 – ‘70”, anche se siamo solo all’inizio di questo percoso. Sicuramente lo studio dell’archivio ci ha resi più consapevoli della nostra storia e del possibile utilizzo “marketing” della nostra collezione. Nel 2013 pubblicheremo il libro della manifattura ceramica Bitossi in cui finalmente ricostruiremo la complessa e affascinate storia della nostra impresa.

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