Si può dire che la moda sia arte? Una domanda su cui si indaga da tempo e alla quale è difficile rispondere, perché sebbene moda e arte siano entrambe cosiddette teorie del bello e dell’estetica, la prima ha il compito di rendersi funzionale, di essere concreta, lontana dal concetto di art pour l’art. Di certo però tra i due fenomeni c’è da sempre un dialogo costante: l’abbigliamento è stato un elemento fondamentale nei dipinti, già nel Rinascimento, quando dettagli delle vesti, posture e gesti davano realismo alle opere, quando il costume diventava viva espressione del personaggio. Ed è osservando il cambiamento della foggia dell’abito nell’opera d’arte che si intuisce l’alternarsi di epoche e stili. Parallelamente, artigiani, sarti e stilisti si sono ispirati spesso alle raffigurazioni artistiche per la creazione delle loro collezioni (la prima, in Italia, fu Rosa Ginoni, che nel 1906, in occasione dell’Expo di Milano, realizzò due abiti, uno ispirato a un disegno di Pisanello l’altro alla Primavera del Botticelli) e pure hanno assunto pigli che alludono all’ambiente artistico. Nel tempo le contaminazioni tra arte e moda si sono fatte più vive, i rapporti più stretti, tanto che spesso le due teorie si sovrappongono, si amalgamano e convivono in una relazione d’amore eterno.

Tutto questo può essere testimoniato, a Firenze, culla del Rinascimento e del cuoio, e al Museo Salvatore Ferragamo, dove si parla di scarpe e di sostenibilità.

Firenze e l’arte del cuoio

Elegante, raffinata e superba. D’altronde Firenze è una diva, sempre sotto i riflettori, desiderata da tutto il mondo. E si perdona tutto a una città in cui l’arte è ovunque, esce da musei e gallerie e si riversa per le strade, tra geometrie di case medievali, bugnati di magnifici palazzi simbolo di potere e ricchezza, modanature, statue, ponti coperti, giardini, cupole e chiese ricche di tesori. Ma a Firenze l’arte odora anche di cuoio, nei vicoli e lungo le strade capita che l’olfatto suggerisca la vicinanza di un commerciante di borse in pelle. Un’arte antica quella dei Cuoiai fiorentini. Alla fine del ‘200 esistevano già conciatori, rivenditori e doratori. Un’industria settoriale di grande tradizione, che nel ‘500 diede il via a un consorzio, l’Arte dei Calzolai, e poi fece nascere un’università, quella dei Maestri del Cuoiame. Per vedere da vicino il lavoro di questi maestri, si può curiosare nelle botteghe e nei laboratori artigiani in zona Santa Croce, dove le vie richiamano a gran voce quest’arte: via delle Conce, corso dei Tintori, via dei Conciatori.

Avellino, Hollywood, Firenze: dagli albori al successo di un brand tutto italiano

Potrebbe sembrare una favola, quella di Salvatore Ferragamo, e un po’ ci piace pensare che sia così. Classe 1898, nasce in Irpinia, in un piccolo paese della provincia avellinese. Inizia a lavorare ancora ragazzino come apprendista calzolaio e dopo un paio d’anni apre il suo primo negozio a Bonito, suo paese natale. Nel 1915 parte per gli Stati Uniti, insieme alla sua passione per le scarpe e la sua grande abilità di calzolaio. Dopo una tappa a Boston dal fratello, si trasferisce agli inizi degli anni Venti in California, a Santa Barbara, dove studia anatomia umana, ingegneria chimica e matematica all’università e apre un laboratorio di riparazione calzature e creazione di scarpe fatte su misura. Essere nel posto giusto, nel momento giusto è quel che è capitato a Salvatore Ferragamo: in un periodo florido per l’industria del cinema, inizia a realizzare scarpe per i set hollywoodiani e le dive dell’epoca. Dopo poco diventa per la stampa locale il “calzolaio delle stelle”. Nel 1927 decide di tornare in Italia, nel luogo a lui più congeniale: Firenze, città dell’artigianalità d’eccellenza. Il successo non tarda ad arrivare, e sebbene la crisi economica del ’29 metta a dura prova Ferragamo, la ripresa è veloce.

Nel 1930 il pittore futurista Lucio Venna collabora alla campagna pubblicitaria dell’azienda attraverso alcuni manifesti promozionali, un pieghevole e la creazione del marchio “Ferragamo’s Creations Florence Italy”: nel logo rettangolare, il cognome dello stilista è legato, in un gioco di chiaroscuri, al nome della città di Firenze. Il richiamo è esplicito: una calzatura fatta ad arte non può che essere prodotta in una città d’arte. Ancora una volta arte e moda si sovrappongono. Nel 1938 grazie alla grande riuscita del marchio, Ferragamo acquista l’intero Palazzo Spini Feroni, ancora oggi sede dell’azienda e del museo. Nel Dopoguerra le sue scarpe diventano simbolo di un’Italia in ripresa, un’Italia libera, viva e capace. Le grandi invenzioni si susseguono senza sosta, così come i successi: arrivano la ballerina con la suola a conchiglia, la zeppa in sughero, i tacchi a spillo rinforzati in metallo, il sandalo invisibile e quello in oro. Dopo la sua morte, nel 1960, la famiglia Ferragamo ha portato avanti con dedizione l’azienda, facendone un punto di riferimento internazionale non solo per le scarpe ma anche per l’abbigliamento. Per scoprire la storia e i segreti di un brand che evoca, nel mondo intero, stile e abilità tutte italiane, bisogna visitare il Museo Salvatore Ferragamo, nato nel 1995, con una collezione di scarpe che documenta l’evoluzione del marchio, dalle invenzioni pionieristiche dello stilista fino alle più recenti sperimentazioni in materia green.

Ferragamo e la battaglia per la sostenibilità

Uno dei pochi brand a cavalcare l’onda della sostenibilità, non tanto per voga, ma per consapevolezza. Un concetto che Ferragamo comincia a sperimentare già negli anni Trenta, con l’uso di materiali alternativi come la canapa, la carta di caramelle e la pelle di pesce. E nel 1936, quando la politica autarchica del fascismo rende pressoché inaccessibili cuoio e metallo, Ferragamo importa il sughero dalla Sardegna e brevetta la sua celeberrima zeppa.

La sostenibilità dell’ambiente è da sempre un tema di primaria importanza per la maison fiorentina. A riprova di questo ci sono le sue adesioni a diverse iniziative. Nel 2016 lancia la capsule collection di abbigliamento donna in collaborazione con Orange Fiber, azienda di due giovani siciliane che realizza filati vitaminici dagli scarti degli agrumi. Nel 2018 aderisce al United Nation Global Impact, la più grande iniziativa di sostenibilità aziendale al mondo, che invita le imprese a lavorare seguendo le strategie e i principi universali condivisi in materia di diritti umani, lavoro, ambiente e lotta alla corruzione. È parte del Fashion Pact dal 2019, che riunisce 32 aziende leader nel settore della moda e del tessile impegnate a ridurre l’impatto ambientale attraverso una serie di obiettivi comuni: arrestare il riscaldamento globale, ripristinare la biodiversità e proteggere gli oceani. Infine, il brand, rimanendo fedele alla filosofia del suo fondatore, è sempre rimasto fiero difensore del Made in Italy – quel sigillo che rende la nostra tradizione produttiva di qualità un unicum – mantenendo tutta la produzione nel Belpaese. Una gestione responsabile documentata nell’eredità archiviata nel museo, custode di un prezioso patrimonio industriale, sociale e culturale.

Cosa vedere nei dintorni del Museo Salvatore Ferragamo

Tra le tante meraviglie fiorentine, ce ne sono alcune imperdibili a pochi passi dal Museo Salvatore Ferragamo. A partire dalla Collezione Roberto Casamonti: all’interno di Palazzo Bartolini Salimbeni, raccoglie un secolo d’arte contemporanea attraverso capolavori di Boccioni, Modigliani, Picasso, Warhol, Fontana, Hering e Basquiat, per dirne alcuni. Poco oltre, piazza Santa Trinità, su cui si staglia la facciata in pietra dell’omonima Basilica: uno dei primi esempi di architettura gotica a Firenze, fu eretta nella seconda metà dell’XI secolo e ricostruita nel ‘300. Palazzo Strozzi, esempio perfetto delle dimore signorili rinascimentali, è uno dei migliori spazi espositivi in Italia, sempre in fermento, in cui si alternano, nei cortili e nelle sale, mostre d’arte e manifestazioni di grande richiamo. L’ex chiesa di S. Pancrazio, sconsacrata nel 1808, è dal 1988 sede del Museo Marino Marini, pittore e scultore pistoiese di cui si conservano oltre 200 opere. In piazza Santa Maria Novella, nell’antico Spedale di San Paolo, destinato nel XVIII secolo dalle scuole Leopoldine per le ragazze povere, oggi c’è il Museo Novecento di Firenze: 15 spazi espositivi e 300 opere d’arte. Infine l’originale chiesa Orsanmichele, ricavata in quella che un tempo era una loggia per il mercato del grano. Costruita nel 1284, incendiata, riedificata tra il 1337 e il 1349, poi definitivamente trasformata e ampliata tra 1367 e il 1380 e divenuta l’attuale Orsanmichele (S. Michele in Orto), la chiesa delle Arti Liberali. Ai piani superiori dell’edificio è il museo, che conserva molte delle sculture originali raffiguranti i santi protettori delle arti, che ornavano un tempo i tabernacoli della chiesa.

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